Il mondo dello sport piange la scomparsa del Cavaliere del lavoro Vincenzo Malagò, morto a Roma questo pomeriggio all’età di 90 anni. Il padre del presidente del Coni, Giovanni, storico concessionario della Ferrari con la Samocar a Roma, è stato anche vicepresidente della Roma calcio sotto la gestione di various proprietà, oltre advert aver ricoperto un ruolo dirigenziale nel comitato organizzatore dei Mondiali di Italia ’90.
E’ la nota stringata delle prime agenzie che hanno battuto una notizia triste e che di fatto nasconde la positive di un pezzo straordinario di Roma.
Vincenzo Malagò oggi viene indicato giustamente come padre del presidente del Coni, suo figlio ha fatto tanta strada nel mondo dello sport fino advert arrivarne a presiedere il vertice. Ma suo padre è stato a tutti gli effetti simbolo di una Roma straordinaria e forse poco comprensibile per chi non è abituato a conoscerne fino in fondo quei tratti inconfondibili che mischiano città a squadra, passione calcistica a visione manageriale, sguardo da curva e attenzione da dirigente.
Vincenzo Malagò è stato tutto questo, al centro di una Roma che cambiava pelle quasi in parallelo: a livello cittadino e di coscienza calcistica. Bisogna portare le lancette del tempo indietro di oltre sessant’anni per comprendere questa storia. L’attuale presidente del Coni è nato il 13 marzo 1959, quando suo padre Vincenzo period entrato nel Consiglio Direttivo della Roma già da tre anni. In quel periodo il Consiglio dell’AS Roma, strutturata da Polisportiva, period formato da 25 membri: a Malagò Senior venne affidata la presidenza delle Sezioni Nuoto e Pallanuoto. Il dna non mente mai viene da pensare. Vincenzo viene preso sotto l’ala protettrice di due personaggi influenti di quella Roma: Silvio Sensi, padre di Franco, futuro presidente della Roma, e Anacleto Gianni. E’ l’inizio, solo l’inizio. Perché Vincenzo è stato il punto di riferimento della vendita di automobili di lusso, di eleganza, di glamour e di sogni da cinema, ma soprattutto è stato un uomo che ha dedicato anima, corpo e denaro a una squadra vissuta come la più grande passione della sua vita.
Sono anni difficili da raccontare in un’epoca fatta di social e immagini replicate by way of cellulare. Per avere un punto di riferimento, la Rai aveva cominciato da quattro anni a trasmettere i suoi programmi, quando a soli 24 anni venne mandato advert Alessandria a osservare il talento di un ragazzino: Gianni Rivera. Vincenzo Malagò ha raccontato l’episodio molte volte, divertito dal ricordo, con gli occhi allegri per quel passaggio di storia che avrebbe potuto portare uno dei più straordinari talenti del nostro calcio sulle sponde del Tevere. Non se ne fece nulla, ma a Vincenzo piaceva ricordare quel lampo di storia del calcio che lo aveva visto protagonista.
Si arriva al 1960, Vincenzo Malagò è padrone del ruolo, è una delle determine di riferimento di una città che sogna una strada per reggere l’urto delle squadre del Nord. Sono giorni complicati per il pallone cittadino, quelli della riunione infuocata del 6 marzo presso la sede sociale. Intorno al tavolo, con Vincenzo Malagò siedono Anacleto Gianni, Marini Dettina, Magnifico, Franco Sensi, Startari, Evangelisti, Pesci, Ciampini, Calderai, Morucci, Scapigliati e Foffano. La Roma è allo stremo, il presidente della sezione calcio D’Arcangeli è messo all’angolo dal comunicato deciso dagli uomini più influenti di quel calcio cittadino. Giorni di fuoco per la Roma, al punto che si arriva a pronunciare il nome di Moratti per venire a capo di quella squadra.
Malagò nei successivi venti anni diventa di fatto il più iconico riferimento nella vendita di auto di lusso del Paese. Comprare una macchina da Malagò significava “Essere arrivati, avercela fatta”. Vincenzo di fatto si trasforma in cerniera tra industria e prodotto di dettaglio, tra catena di montaggio e personaggi in grado di usuufruire di quel lavoro che univa bellezza a passione per i motori. E’ un lavoro portato avanti alla grande, ma il cuore è da un’altra parte. E’ sul campo, negli spogliatoi, in tribuna: l’odore d’olio dei motori è battuto da quello degli scarpini.
Siamo ai primi anni Ottanta, l’Italia è in un momento di euforia calcistica incontenibile, figlia del Mundial vinto in Spagna davanti a Pertini. Vincenzo Malagò viene chiamato da Viola a dirigere il servizio organizzativo del membership: sono i giorni di Conti, Falcao e Pruzzo, sono i gioni della gioia incontenibile di uno scudetto che sembrava impossibile contro la Juve di Platini e Boniek. Si arriva ai Mondiali dell’Italia di Vialli, Giannini e Zenga e sopratttutto di Schillaci: in quei giorni Vincenzo Malagò è responsabile dell’organizzazione dell’Olimpico. E’ un momento cardine non tanto per la storia personale quanto per quella del membership.
Parliamo di calcio certo, la parola dramma va contestualizzata allo sport e a quella passione che si fa febbre in una città pazza di pallone. Arriviamo al 1993 e Vincenzo malagò è chiamato al momento più drammatico della storia moderna del membership. E’ il 24 marzo quando a Trigoria si è riunito il primo consiglio d’ amminustrazione giallorosso dopo gli arresti del presidente Ciarrapico e del suo vice, Mauro Leone. Presenti 13 consiglieri: assenze illustri di Franco Nobili (presidente Iri), Ernesto Pascale (amministratore delegato Sip) e Giampaolo Cresci (sovrintendente del teatro dell’ Opera). E’ stato deciso di affidare al vicepresidente Malagò la “rappresentanza legale compresi i poteri di firma per la gestione ordinaria”.