Persino una legge elettorale discutibile come il Rosatellum può avere dei pregi. Uno dei quali è l’aver resuscitato – per un terzo dei seggi del futuro Parlamento-le sfide nei collegi uninominali. Dove i candidati si affrontano direttamente, vince chi prende un voto in più e per gli sconfitti non c’è appello. Questo, almeno, in teoria. Perché i massive, quando accettano di misurarsi in una simile partita, in genere esigono il «paracadute» nel proporzionale. E il seggio se lo prendono lo stesso. Una distorsione che non toglie del tutto il sapore delle sfide uninominali. Specie quando, per i tornanti inimmaginabili che ha intrapreso la legislatura al tramonto, mettono l’uno contro l’altro esponenti che hanno percorso insieme un pezzo di strada o che, in passato, formavano tandem in apparenza indissolubili. L’epicentro delle sfide fratricide è il collegio Napoli 2 della Digital camera.
Dove corrono ben quattro massive: Luigi Di Maio per il centrosinistra, Sergio Costa per il M5S, Maria Rosaria Rossi per il centrodestra e Mara Carfagna per il Terzo polo. La spunterà solo uno, e ognuno correrà contro un pezzo del suo passato. Di Maio, per dire, avrà di fronte quel Costa che lui personalmente volle come ministro dell’Ambiente del Conte I. E se per l’ex generale dei carabinieri la probabile sconfitta sarà addolcita dalla candidatura blindata nel proporzionale in Campania, l’attuale ministro degli Esteri rischia davvero di salutare il Parlamento se non dovesse prevalere nell’uninominale. Dove, come detto, se la vedrà con altri due pezzi grossi come Carfagna e Rossi. Due che erano sul punto di farci un partito, con Di Maio, e che dalla loro hanno la comune lunghissimi militanza in Forza Italia.
Tutto dimenticato, oggi sono su due fronti contrapposti. Un’altra partita suggestiva si giocherà nel collegio Roma Centro del Senato. Dove se la vedranno, tra gli altri, Carlo Calenda ed Emma Bonino. Alleati fino alla giravolta del chief di Azione, che ha mollato l’alleanza col Pd per tentare l’avventura terzopolista, ora i due non se le mandano a dire. E a mettere zizzania ha contribuito Enrico Letta: «A Roma chi vota Calenda penalizza Bonino» ha twittato il segretario Pd. Attirandosi gli strali dell’ex alleato che l’ha definito «childish».
La sfida fratricida rischia così di avvantaggiare Lavinia Melluni del centrodestra. Tanto Calenda che Bonino, in ogni caso, si rifaranno nel proporzionale. Significativo è anche lo scontro di Bologna tra Pier Ferdinando Casini e Vittorio Sbargi, sempre per il Senato. «Siamo grandi amici» ha detto il critico d’arte. Ma ciò non gli ha impedito di attaccare il rivale senza tanti complimenti: «È una statua, non c’è mai» ha chiosato. Entrambi vecchie volpi del Parlamento, con una convivenza politica nelle prime fasi del centrodestra, la loro sfida è una manna per i media ma assai meno per l’elettorato sinistrorso di Bologna, che avrebbe preferito qualche candidatura più «identitaria» da parte del Pd. Un aspetto che Sgarbi non trascura di sottolineare.
Tornando in Campania, nel collegio senatoriale di Giugliano, nel napoletano, se la vedranno per il centrosinistra Davide Crippa e per i 5 stelle Mariolina Castellone. Che, fino all’altro ieri, erano i due capogruppo grillini di Digital camera e Senato. Entrambi assai scettici sul nuovo corso contiano – «Giuseppi» tentò invano di sostituirli entrambi – a un certo punto hanno diviso le proprie strade politiche. Crippa ha mollato il capo – negando addirittura il rinnovo del contratto per la comunicazione dei deputati al fido Casalino – mentre Castellone si è convertita al contismo e oggi ne rappresenta una punta di diamante. Favorita nel collegio, però, è la carneade del centrodestra Elena Scarlato. Infine vale la pena di risalire la penisola fino al Trentino. E in particolare al collegio senatoriale di Rovereto. Dove si sfideranno Michaela Biancofiore per il centrodestra e Donatella Conzatti la superammucchiata del centrosinistra comprendente, in questo caso, anche Italia viva. La prima aveva perorato personalmente la candidatura della seconda nelle liste di Forza Italia, quattro anni fa. Chissà se l’«amazzone azzurra» se ne è pentita.