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I riservisti che Mosca potrebbe richiamare alle armi nell’ambito della “mobilitazione parziale” voluta dal presidente Vladimir Putin potrebbero arrivare a un milione. La notizia rilanciata da alcuni media indipendenti russi viene bollata come una “bugia” dal Cremlino ma è lo specchio della situazione che la Russia sta vivendo nelle ultime 24 ore. Le proteste scoppiate dopo l’escalation scelta da Putin hanno portato a oltre 1300 arresti, il 51% donne, e per molte di queste persone il futuro potrebbe essere proprio il fronte. Il Cremlino spiega infatti che notificare “citazioni” per l’arruolamento nell’esercito alle persone arrestate per aver preso parte alle manifestazioni “non viola la legge”.
Allo stesso Mosca fa sapere che le informazioni relative a una corsa agli aeroporti e ai valichi di frontiera dopo l’annuncio della mobilitazione sono “molto esagerate” mentre, al contrario, 10mila volontari nelle ultime 24 ore si sarebbero recati negli uffici di reclutamento. La mobilitazione è stata anche il pretesto per uno scherzo telefonico al figlio di Dmitry Peskov. A chiamare il figlio del capo ufficio stampa di Vladimir Putin è stato Dmitry Nizovtsev del canale Widespread Politics, vicino all’attivista attualmente in carcere Alexei Navalny. L’uomo, spacciandosi per un ufficiale militare, ha reso noto a Nikolay Peskov di doversi presentare il giorno successivo alle 10 in caserma per la visita propedeutica all’arruolamento. Il giovane ha preso tempo dicendo di voler “risolvere la questione a un livello più alto”.
Intanto venerdì in Ucraina prende il by way of il referendum per l’annessione alla Russia indetto dalle autorità filorusse delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk e nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia. Nel caso, scontato, del by way of libera all’annessione la Russia offrirà loro “protezione” conferma Dmitry Medvedev vice presidente del Consiglio di sicurezza nazionale di Mosca. Per attuarla tutti gli scenari sono aperti “comprese le armi nucleari strategiche”.
Sul campo, grazie alla mediazione di Arabia Saudita e Turchia, si consuma anche un corposo scambio di prigionieri che vede coinvolti fra gli altri cittadini statunitensi, britannici e cinque comandanti del battaglione Azov detenuti dai russi. La controparte ottiene, fra le altre, la liberazione dell’oligarca ucraino filorusso Viktor Medvedchuk.
Sul fronte diplomatico infine la scontro si sposta a New York in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu dove il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, prende la parola denunciando il sostegno occidentale al “regime neonazista di Kiev” dal quale la Russia “non accetterà mai” minacce alla propria sicurezza.
Pronta la risposta del ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba. “Nessun’altra nazione al mondo brama la tempo più dell’Ucraina. Non abbiamo mai voluto questa guerra e non l’abbiamo mai scelta”, precisa. Un livello di tensione altissimo che preoccupa il mondo intero, compresa la Cina. Pechino, pur mantenendo la sua neutralità, torna per la seconda volta in due giorni a far sentire la sua voce in merito al conflitto chiedendo che la “fiamma della guerra si spenga il prima possibile” perché un conflitto “esteso e prolungato” non è “nell’interesse” di nessuno. A margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il ministro degli Esteri russo ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede. A ufficializzare l’incontro è stata la portavoce della diplomazia russa Maria Zakharova con un submit su Telegram dove si vedono i due stringersi la mano.
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