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Il programma del Pd per la scuola è di una povertà imbarazzante, condito da misure autoritarie di stampo sovietico. Spicca infatti una chicca.
Dopo aver osservato che «in Italia un bambino su dieci non frequenta la scuola dell’infanzia (3-5 anni)» e che ciò creerebbe «le prime odiose diseguaglianze», ecco come si pensa di risolvere il problema: «Intendiamo cancellare questa discriminazione rendendo obbligatoria la scuola dell’infanzia».
Peccato che una discriminazione esista proprio quando un comportamento è costretto, non quando è libero.
Intanto una quota di chi non frequenta l’asilo è frutto di una libera scelta. C’è poi da chiedersi come si intenda risolvere questa obbligatorietà. Senza parità economica tra scuole statali e non statali? Ma dove vivono, visto che il 48% delle scuole dell’infanzia è non statale?
Ma ancora peggio è la logica che soggiace alla proposta: siccome per una parte dei non frequentanti le pubbliche amministrazioni non adempiono a un loro obbligo di garantire il posto a tutti, invece di costringerle advert assicurare il servizio o con soldi statali (che non vengono menzionati) o con la parità, si rende obbligatoria la frequenza.
Anche di chi, per sua libertà e responsabilità educativa, non lavoglia. Se questa proposta tocca la libertà di scelta educativa delle famiglie e si scontra con la Costituzione, ve ne sono altre che appaiono egualmente inquietanti perché rischiano di distruggere l’intero sistema della formazione tecnico-professionale.
RESPONSABILITÀ EDUCATIVA – Iniziamo dalla «scuola dell’obbligo fino alla maturità», ovvero sia fino a diciannove anni. Questa proposta, ribadita ieri da Enrico Letta al assembly di Rimini e sonoramente fischiata dal pubblico, presuppone un unico percorso formativo per tutti i ragazzi, distruggendo così il sistema della istruzione e formazione professionale regionale, tutelato dalla Costituzione, e non tenendo minimamente conto dei diversi talenti dei giovani che esigerebbero semmai percorsi formativi diversi anche se di pari dignità.
Del resto che la istruzione tecnica e professionale non piaccia a sinistra lo aveva già dimostrato Carlo Calenda, chief di Azione, quando ne aveva proposto addirittura la soppressione, rinviandola advert un percorso put up liceale, obbligatorio per tutti fino a 18 anni. Insomma Letta si mette sulla stessa scia del chief di Azione.
Come se non bastasse, non solo il Partito democratico non dedica una sola riga al tema fondamentale del potenziamento dell’istruzione e formazione tecnica e professionale, ma arriva a proporre a pagina 19 del suo programma elettorale «l’obbligo di retribuzione per stage curriculari e l’abolizione degli stage extra-curriculari, salvo quelli attivati nei dodici mesi successivi alla conclusione di un percorso di studi».
PORTATA DEVASTANTE – Per capire la portata devastante di questa proposta occorre sapere che gli stage curriculari sono quelli previsti innanzitutto per le scuole di istruzione tecnico professionale e sono strategici per rendere concreta la formazione di uno studente. Egualmente grave è la soppressione di quelli extracurriculari che sono fondamentali perla formazione successiva del diplomato e che peraltro già oggi sono retribuiti. Nessun cenno invece a come aiutare seriamente gli studenti in difficoltà e a come potenziare i talenti, nessun accenno all’autonomia, a come eliminare il carico burocratico sugli insegnanti, alla valutazione degli apprendimenti, al destino della sperimentazione del liceo a quattro anni, all’importanza formativa del lavoro. Hanno sbagliato pure i conti per coprire il costo del pur necessario adeguamento degli stipendi alle medie europee, che messa così appare solo una irrealizzabile proposta demagogica. La proposta del Pd sulla scuola sa di Pci anni ’80.
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